Federica Pelissero nasce a Savigliano il 14 marzo 1997 senza complicazioni né problemi, cresce all’insegna della salute, è una bambina bellissima. Impara presto a camminare, a parlare, a mangiare, a correre, a giocare come tutti gli altri bambini. Ha un carattere dolce, affettuoso, particolarmente predisposto verso il prossimo. Frequenta la Scuola dell’Infanzia rivelandosi molto socievole e brillante dal punto di vista intellettuale. In questo periodo i genitori notano quello che presumono essere solo un difetto dovuto alla notevole statura: un po’ di lentezza e una certa goffaggine nei movimenti. Federica comincia dunque a frequentare ortopedici, osteopati, piscine e palestre. A sei anni inizia la scuola elementare, l’apprendimento procede rapidamente in tutte le discipline, inoltre possiede una capacità di esprimersi sorprendente per l’età. Federica impara a leggere e inizia a scrivere in corsivo, è acuta e molto sveglia. Le maestre però non tardano a rendersi conto che la sua camminata è più goffa della norma e il suo modo di parlare e di agire un po’ troppo rallentato. Pensando alla necessità di effettuare qualche seduta di psicomotricità, suggeriscono alla mamma di effettuare un controllo. La mamma temporeggia. Le maestre capiscono che il suo cuore è in allerta e aspettano.
Il primo controllo avverrà in seconda elementare, nel maggio del 2004. La diagnosi sarà: MAV (malformazione artero-venosa). Nessun medico saprà prevedere quale sarà l’evolversi della situazione, perché, anche se non si tratta di una cosa rara, in Federica è molto estesa e complicata. Questa malformazione, come spiegano i medici ai genitori, si è formata già durante la gravidanza. La parola “chirurgia” nel caso di Federica è impronunciabile e non si può trattare farmacologicamente. Nel corso degli anni (dal 2005 al 2008) si fanno dei tentativi quanto meno per cercare di arginare la MAV, effettuando una serie di embolizzazioni presso il Policlinico di Siena, ma che non porteranno ad alcun miglioramento. Si chiede un parere in un centro di Vicenza per un’eventuale radiochirurgia che però viene sconsigliata: la MAV è troppo complicata ed estesa. Tramite conoscenze i genitori inviano lastre e documentazione alla Columbia University di New York, ma rimangono anche qui senza parole.
Intanto la vita di Federica procede serena nonostante i suoi continui peggioramenti motori. In terza elementare le sue mani smettono di tenere la matita. Viene introdotto il computer su cui lei digita lentamente. In quarta elementare la maestra scrive per lei. La camminata si è fatta insicura, la parlata sempre più lenta. Deve essere aiutata anche a mangiare perché le mani ubbidiscono sempre meno. A causa di frequenti dolori addominali, si effettuano accertamenti che porteranno alla diagnosi di celiachia. In quinta elementare ha bisogno della sedia a rotelle, la famosa Fedymobile. È sempre molto stanca, la mano destra non ubbidisce più, la sinistra fa del suo meglio. La gamba destra comincia ad avere dei movimenti incontrollati che per lei diventano sempre più fastidiosi. Frequenta a fatica la prima media, la stanchezza è sempre più evidente. L’orario viene ridotto. Federica non parla più. Comunica indicando le lettere su una tabella anche se l’operazione si rivela comunque molto lenta e faticosa. Verso la fine dell’anno viene introdotto l’uso di una tastiera vocale, su cui i compagni hanno registrato le frasi di maggior utilizzo. Viene ancora effettuato un intervento di radiochirurgia con Gamma-knife a Madrid, ma anche questo tentativo si rivela inutile.
Questi brevi anni segnati da continue rinunce e fatiche, possono apparire tragici agli occhi di estranei e senza dubbio lo sono stati nel cuore di chi le ha voluto bene. Ma non per lei. Federica è stata la più grande consolazione per chi le stava vicino. Lei era serena e contenta di sé stessa, amava molto tutto il suo prossimo e questo amore era da tutti ricambiato, si sentiva protetta e accettata, sapeva accogliere i suoi peggioramenti quasi come un evento naturale, un dato di fatto.
Pur cosciente dei suoi limiti ha sempre provato a fare ciò che facevano i suoi compagni e quando non riusciva più, accettava di osservare i suoi amici con il sorriso, rallegrandosi del divertimento degli altri e farlo suo, e i suoi compagni in questo sono stati dei grandi: hanno saputo sempre coinvolgerla e lei, comunque, non si è mai tirata indietro: non ha mai saltato una festa o una gita. Ha accolto la sua fiammante Kawasaki (o Fedymobile) del tutto semplicemente, senza complicazioni, come se le fosse stata regalata una bicicletta speciale a quattro ruote. Federica ha saputo fare grandi cose: ridere col cuore, di gusto, consolare le tristezze altrui, far sorridere o tirare su il morale agli altri dicendo la cosa giusta al momento giusto, con quel suo modo di esprimersi lento e scandito, o più tardi, con il suo pollice sempre rivolto verso l’alto. Ha avuto la capacità di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, anche nei momenti più difficili.
Federica aveva anche un feeling particolare con Gesù (non appreso dai genitori, anzi, questa è una delle cose che lei ha saputo insegnare a loro). Lo si notava in modo particolare nelle occasioni in cui si portava, già malferma sulle gambe, davanti al tabernacolo della parrocchia di Marene, da sola, alla fine della messa. Non potendosi più genuflettere, onorava Gesù con un piccolo e delicato inchino, e pronunciava la sua preghiera. In quel momento era talmente assorta, che si provava la viva percezione che nulla l’avrebbe distolta dal suo comunicare con Lui. Don Gianni racconta che un giorno, durante le intenzioni pronunciate dai ragazzi, ha creato un silenzio fatato in chiesa con il suo “Grazie Signore, per il dono della vita!”. Se l’ha detto lei, come possiamo non dirlo noi?
Il peggio arriva però quando aumentano i dolori e la stanchezza. Il sorriso di Federica comincia ad avere delle difficoltà a farsi strada sul suo bel viso … ma è comunque sempre pronto dietro l’angolo, ad apparire tra una crisi e l’altra. Ora comunica solo con le dita: pollice sì, indice no. Dopo i primi giorni di seconda media, è costretta a restare a casa. Comincia il calvario degli ospedali alla ricerca di un mezzo che lenisca il suo dolore, che è tanto. Le dosi di sedativi, calmanti, morfina aumentano insieme alla sua sofferenza continua.
Il 7 marzo 2010, un mattino di neve, di candore e di magico silenzio, Federica è libera. Nel suo breve ma intenso cammino su questa terra, non c’è mai stato un giorno in cui abbia smesso di sorridere e di omaggiare la vita.